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Risorse per disabili. Italia agli ultimi posti in UE

 

31 Ottobre 2012

 


Rispetto ad altri paesi europei in Italia è sopratutto una questione di assistenza secondo l'indagine del Censis. Il nostro paese è indietro nell'inserimento lavorativo, poche risorse per i servizi.

MILANO - Disabilità trattata come una "questione" di assistenza, mentre in altri Paesi europei prevale un approccio mirato all’integrazione sociale e alla promozione di pari diritti; quasi inesistenti i servizi basati sui bisogni reali, soprattutto in termini di autonomia e vita indipendente; leggi italiane una volta all’avanguardia ma spesso ancora disattese; l’inclusione scolastica, che pure è un’eccellenza italiana in Europa, rischia di essere svuotata, di fatto, a causa delle politiche di contenimento dei costi. E il senso di abbandono e di solitudine delle persone con disabilità e delle loro famiglie aumenta. È quanto emerge da un’indagine presentata a Roma, "I bisogni ignorati delle persone con disabilità. L’offerta di cura e assistenza in Italia e in Europa", realizzata dal Censis nell’ambito del progetto pluriennale "Centralità della persona e della famiglia nei sistemi sanitari: realtà o obiettivo da raggiungere?" promosso dalla Fondazione Cesare Serono.


I ricercatori hanno condotto tra gennaio e luglio una rilevazione nelle Asl (ma hanno risposto solo 35 su 147) per fornire una mappa sui servizi riabilitativi e socio sanitari integrati sui quali possono contare i disabili italiani. Hanno poi confrontato l’offerta di servizi e le strategie adottate per promuovere l’integrazione sociale delle persone con disabilità con quattro Paesi europei: Spagna, Inghilterra, Francia e Germania.


ULTIMI PER RISORSE DEDICATE - «Nel nostro Paese gran parte dell’intervento pubblico in favore delle persone con disabilità si caratterizza per le misure di sostegno economico, ma l’Italia spende poco rispetto agli altri, secondo i dati Eurostat del 2009: 438 euro pro capite l’anno, mentre la media europea è pari a 531 euro e in Germania si arriva a 703 euro – sottolinea la coordinatrice della ricerca, Ketty Vaccaro, responsabile del settore Welfare del Censis –. Se poi si osserva la composizione della spesa, è ancora maggiore la sproporzione tra le misure erogate sotto forma di prestazioni economiche e quelle in natura, solo 23 euro pro-capite annui, meno di un quinto della media europea. Tenendo conto che anche il fondo per la non autosufficienza è stato azzerato, appare chiaro come sia inadeguata la capacità di adattare l’offerta ai bisogni».


ADI, SOLO 22 ORE L’ANNO - Le misure economiche erogate dall’Inps in favore di persone che hanno una limitata o nessuna capacità lavorativa sono pari a circa 4,6 milioni di prestazioni pensionistiche, di cui 1,5 milioni tra assegni ordinari di invalidità e pensioni di inabilità e 3,1 milioni per pensioni di invalidità civile, incluse le indennità di accompagnamento, per una spesa complessiva di circa 26 miliardi di euro all’anno. Per quanto riguarda l’assistenza domiciliare integrata (Adi), secondo i dati del Ministero della Salute, nel 2008 ha riguardato circa 500mila italiani. «Ma le ore dedicate in un anno a ciascuna persona sono contenute: in media appena 22, il che significa un supporto quasi inesistente che accentua la delega alle famiglie», commenta Vaccaro. E i familiari devono provvedere autonomamente ai bisogni dei loro cari.


LEGGI NON APPLICATE - «Da noi la disabilità è soprattutto un problema di assistenza, a differenza di altri Paesi che hanno adeguato anche gli strumenti normativi puntando sulle pari opportunità, l’uguaglianza, l’eliminazione delle discriminazioni – fa notare la ricercatrice – . Quando le leggi ci sono, il loro livello di attuazione è spesso inadeguato. Per esempio, l’Italia al pari della Germania ha ratificato nel 2009 la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, ma da allora i tedeschi hanno previsto un responsabile istituzionale che controlla la reale applicazione della normativa».


BENE INCLUSIONE SCOLASTICA, MA… - Va meglio per l’inclusione scolastica visto che l’esperienza italiana rappresenta un’eccellenza in Europa. Ma, secondo un’indagine dell’Istat, nell’anno scolastico 2010-2011 circa il 10% delle famiglie degli alunni con disabilità ha presentato un ricorso al Tribunale civile o al Tar per ottenere un aumento delle ore di sostegno. «Il rischio – avverte il Censis – è che le politiche di contenimento dei costi configurino uno svuotamento di fatto dell’inclusione scolastica». E poi, fa notare Vaccaro: «Dopo la scuola il processo d’inclusione si blocca».


INDIETRO PER L’INSERIMENTO LAVORATIVO - L’Italia è indietro rispetto agli altri Paesi riguardo all’inserimento lavorativo delle persone con disabilità, come dimostrano i dati sui tassi di occupazione. In Francia, dove come da noi il 4,6% della popolazione ha un riconoscimento amministrativo della propria condizione di disabilità, si arriva al 36% di occupati tra i 45-64enni disabili, mentre in Italia, per la stessa fascia di età, il tasso si ferma al 17%. In Germania si arriva al 50% di occupati. Secondo la ricerca, da noi è difficile trovare un lavoro una volta completato il percorso formativo: meno di una persona con sindrome di Down su tre lavora dopo i 24 anni, e appena una su dieci tra gli ultraventenni che soffrono di autismo. Non è facile nemmeno mantenere l’occupazione in seguito a una malattia cronica che causa una progressiva disabilità, come la sclerosi multipla: lavora meno della metà di chi ha tra i 45 e i 54 anni.


ASL, LA MAGGIORANZA NON RISPONDE - Non va meglio per i servizi sanitari e socio-sanitari offerti dalle Asl. «Il dato che più colpisce è che hanno risposto soltanto 35 Asl su 147 e si presume che queste siano le "migliori", che hanno cioè strategie mirate in tema di disabilità», commenta Carla Collicelli, vicepresidente del Censis. Oltre alle poche ore dedicate all’assistenza domiciliare integrata, esiste una sperequazione tra Nord e Sud in merito alla disponibilità di strutture residenziali e semiresidenziali. Dalla ricerca emerge come l’assistenza agli anziani rappresenti la tipologia di servizio più frequentemente erogato (46,9%) soprattutto al Nord e al Centro, mentre l’assistenza psichiatrica (30,6% delle strutture complessive) è la tipologia maggiormente rilevata al Sud (51,4%). Il 20,6% delle strutture residenziali fornisce assistenza alle persone con disabilità, sia fisica che psichica. Al Nord e al Centro è più spesso erogata nelle strutture semiresidenziali.


QUALITÀ DEI SERVIZI OFFERTI - «Non è solo un problema di presenza dei servizi ma anche dei loro contenuti», fa notare Vaccaro. Per le persone con sindrome di Down, 19 Asl su 24 indicano la presenza di servizi di neuro e psico-motricità dell’età evolutiva e di logopedia, 16 segnalano l’attivazione di progetti di educazione all’autonomia e 17 di altri servizi. Per i pazienti con disturbi dello spettro autistico, 9 Asl su 10 segnalano l’offerta di servizi di logoterapia e 18 su 24 garantiscono la terapia per la psicomotricità. 20 Asl svolgono attività di counselling per insegnanti e 17 Asl di training per i familiari, soprattutto al Nord. Meno presenti le terapie di tipo cognitivo- comportamentale (ABA, TEACCH) e l’AAC (comunicazione alternativa ed aumentativa), maggiormente segnalate al Centro e al Sud. Riguardo ai servizi per chi soffre di sclerosi multipla, l’offerta delle Asl si concretizza soprattutto in riabilitazione motoria e logopedia, la prima garantita dalla totalità delle Asl, la seconda dalla metà. Per chi soffre di Parkinson, tutte le Asl che hanno risposto al questionario affermano di garantire la riabilitazione motoria, la metà quella del linguaggio, un terzo circa la terapia occupazionale. Il sostegno psicologico è assicurato da 6 Asl su 20 al Centro-Sud e da 2 su 10 al Nord, mentre pochissime Asl, solo del Nord, segnalano alcuni servizi specifici come la musicoterapia e la teatroterapia.


Maria Giovanna Faiella - Corriere della Sera

 

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